Un’occasione perduta

Il grande Indro Montanelli si attribuiva la capacità di riuscire a spiegare ai propri lettori ciò che non capiva nemmeno lui. E forse proprio a Montanelli si sono ispirati Milena Gabanelli e il suo inviato Giorgio Mottola nel confezionare il breve servizio dedicato al Fondo Casella all’interno della puntata di Report andata in onda su Raitre il 29 maggio scorso. Qui il link, dal minuto 8.10 in poi.

È stata un’occasione perduta: si poteva approfittare dell’autorevolezza di una trasmissione di punta del servizio pubblico per fare chiarezza su una materia un po’ più complicata della tabellina del nove ma comunque non astrusa; si poteva per esempio spiegare che il Fondo è in difficoltà soprattutto perché la popolazione poligrafica negli ultimi dieci anni si è dimezzata, e i 3.800 attivi di oggi, con i loro contributi, devono pagare le pensioni ad oltre 15.000 ex poligrafici; si poteva ricordare che, per fare fronte a questo crescente squilibrio, i contributi che quei cattivoni degli editori versano al Fondo sono saliti dal 7% della retribuzione del 1994 ad oltre il 25% di oggi, in aggiunta beninteso ai contributi INPS, dal momento che per i poligrafici, a differenza che per i giornalisti, il fondo pensione è integrativo e non sostitutivo della pensione INPS.

Si poteva anche sottolineare il fatto che la riduzione delle prestazioni pensionistiche, del 25% prima e successivamente del 50%, possibile in forza di una legge dello Stato, si è resa purtroppo necessaria – in aggiunta ad altre misure di contenimento dei costi – per il drastico calo dei contributi versati dalle aziende, colpite da una crisi drammatica che in meno di dieci anni ha dimezzato le copie vendute e ridotto la pubblicità di oltre il 60%, con pesanti ricadute sull’occupazione.

Si potevano spulciare con più attenzione i bilanci del Fondo, per accorgersi magari che quelli che vengono presentati come aumenti di stipendio per i dirigenti erano in realtà accantonamenti obbligatori di fine rapporto previsti dal contratto di lavoro; e magari con una semplice telefonata si poteva appurare che i 160mila euro spesi nel 2008 per pulizie e manutenzione uffici erano imputabili ad interventi straordinari di ristrutturazione e di adeguamento edilizio effettuati nella sede del Fondo; magari si sarebbe anche scoperto che dal 2008 al 2014, ultimo bilancio disponibile, i costi generali della struttura sono diminuiti di oltre il 40%.

Forse si sarebbero potuti persino fornire i numeri corretti sulla vendita del patrimonio immobiliare: l’analista finanziario consultato da Report, che ha sentenziato che il Fondo avrebbe venduto per 82 milioni immobili acquistati per 97 (che in realtà non era il costo d’acquisto ma il valore a bilancio), ha infatti dimenticato di aggiungere che pochi mesi dopo la vendita di parte del patrimonio immobiliare per 82,2 milioni di euro fu realizzata la vendita di un altro immobile per 6,6 milioni, e che il Fondo detiene tuttora la proprietà dell’immobile nel quale ha la propria sede, a bilancio per un valore di 12,6 milioni di euro. Fa un totale, per chi sa fare le addizioni, di oltre 101 milioni. Al netto ovviamente degli affitti percepiti prima delle vendite (tra parentesi: una parte della sede è tuttora affittata a terzi, e genera dunque reddito per il Fondo).

Tutto ciò ed altro ancora si sarebbe potuto fare, per fornire un servizio più completo ai telespettatori; purtroppo però, forse anche per i pochi minuti nei quali è stato compresso l’argomento, si è scelto di preferire il semplicismo alla semplicità, e di ridurre tutto al consueto e collaudato schema: da una parte i cattivi che rubano, dall’altra i buoni che vengono derubati. Ecco dunque i 16 milioni che i perfidi editori devono versare nel Fondo (e che, sia detto per inciso, rappresentano il totale delle sofferenze accumulate in tutta la storia del Fondo, pari a poco più dell’1% del miliardo e trecento milioni di euro di contributi versati soltanto dal 1995 a oggi); ecco l’immancabile uomo nero Denis Verdini; ecco i diabolici Fondi lussemburghesi che si “beccano l’affare” e dietro i quali si nascondono magari i soliti amici degli amici; ecco insomma tutto il consueto armamentario che scende a spirale e che alla fine si cristallizza nella frase del simpatico pensionato romano:

I soldi c’erano, se li sono mangiati”.

Peccato, si poteva fare qualcosa di più accurato e fornire un servizio informativo di qualità; forse è mancato il tempo, forse la voglia di approfondire un argomento che tutto sommato non interessa tantissime persone, ma forse in fondo era vero ciò che diceva – ancora – il grande Indro Montanelli:

Conosco molti furfanti che non fanno i moralisti, ma non conosco nessun moralista che non sia un furfante”.