Notizie iperlocali? Meglio stampate

Nessun contenuto è disponibile on line. Print, il nuovo settimanale di Pittsburgh dedicato all’informazione iperlocale, è solo stampato. E così vuole rimanere, almeno nei piani del suo fondatore, Ann Belser, per oltre vent’anni giornalista al Post-Gazette.

La nuova testata, prezzo di copertina 1 USD, abbonamento annuale 25 USD per 50 numeri, offre i contenuti come potrebbe fare un ristorante locale: “offre il menù agli avventori locali, non deve dare da mangiare a tutto il mondo. Se hai fame, entri, ordini, mangi e paghi”. Così è l’informazione iperlocale, rigorosamente stampata e altrettanto rigorosamente offerta a pagamento.

Sulle otto pagine di Print finiscono tutte le notizie che gli altri media ignorano. Fra gli articoli più apprezzati, i menù della scuola locale di cucina, le gare sportive vinte dalle squadre studentesche locali, ed altri eventi di quartiere.

L’iniziativa è nata dopo la decisone dei giornale storici locali dell’area di Pittsburgh di favorire l’esodo dei collaboratori con significativi incentivi economici. Ann Belser e Brian Hyslop, già direttore della redazione economica del Post-Gazette, hanno colto la palla al balzo ed hanno cominciato a lavorare alla nuova iniziativa editoriale, coinvolgendo altri colleghi giornalisti. La testata si avvale anche di una rete di collaboratori free lance, tutti retribuiti.

Secondo il Rapporto News Media 2015 pubblicato dal Pew Research Center, il fatturato da pubblicità dei giornali stampati è sceso precipitosamente negli ultimi dieci anni, da 46,7 miliardi di dollari nel 2004 a 16,4 miliardi di dollari nel 2014. Nello stesso periodo i volumi della pubblicità digitale sono leggermente saliti, da 1,5 miliardi del 2004 ai 3,5 miliardi del 2014, un quantitativo comunque modesto se paragonato ai numeri della pubblicità stampata. Questa è la sfida per i giornali a maggiore diffusione, che, sostiene Ann Belser, “regalano troppi contenuti on line”.

La decisione di puntare, nonostante le difficoltà, sulla stampa, è maturata in base alla convinzione che una testata di piccole dimensioni abbia ancora da guadagnare seguendo il modello tradizionale di business: contenuti interessanti, e tutti venduti, proprio perché non disponibili on line.

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